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C’è una bicicletta con una cesta di pane sul terrazzino del Monastero. Fuori si ha fame. Lì, dentro, c’è la promessa di un raccolto che cresce.
Entriamo in questo bosco di silenzi e tracciamo il nostro sentiero tra il lavoro della natura e dell’uomo. Sentiamoci parte di quest’opera, della storia dell’uomo che di generazione in generazione tramanda la sapienza del fare il cibo quotidiano.
In questo bosco, talvolta, ci possiamo sentire piccoli e soli finché non scopriamo o riconosciamo la strada che ci porta al tavolo, a quel luogo dove ci riuniamo desiderosi di abitare l’incontro e sfamarci di relazioni. Oggi il tavolo è preparato per il giorno di festa, quello della tovaglia di lino bianco, vergine, profumato.
A tavola, come nel lavoro, le mani si sporcano, si sporcano di vita. Mettiamo le nostre mani capaci di lavoro, di forza, di odio e amore dentro questa ciotola, colma di vita, per poi lasciar l’impronta del nostro passaggio su questo lino che si lascia sporcare dalla convivialità di noi commensali. E il nostro segno si aggiungerà a quello di altre persone che son passate. Una storia aperta, condivisa e sempre in attesa di coloro che arriveranno dopo, affamati.
Sarà, poi, il fuoco, il calore del forno a far emergere il passaggio di questa umanità. Sulla tovaglia macchie, linguaggi, simboli lentamente acquisteranno forza, presenza e si eleveranno.
Abbiamo lasciato i nostri segni nella terra così come sulla tovaglia. Camminare e toccare. Gesti umani, semplici, silenziosi.
Tovaglia di lino, acqua, terra, rami, pane, un tavolo e noi…
Pochi elementi, una quotidianità da cogliere e accogliere.
Senso della misura che sfama, appaga, sazia.
Gesti sobri che unisco.
Sazia sobrietà